La Corte di Cassazione intervniene a Sezioni Unite per dirimere contrasti su alcuni temi di massima importanza. Si parla di rapporti di locazione verbali e di quelli che, pur scritti, si uniscono a scritture private separate che integrano gli importi del canone dichiarato al fisco. Con la Sentenza 18214/2015 depostitata il 17 settembre, la Corte esamina il caso di uno sfratto del 2006 il cui contratto verbale risaliva al 2003. Richiama la norma di cui all'art. 13 delle L. 431/98 e le teorie neoformaliste per anticipare l'impraticbilità di una automatica nullità in mancanza di forma scritta ad substantiam, il cui carattere eccezionale o meno della norma sulla forma deve invece discendere da unprocedimento d interpretazionei. La Corte ripercorre la giuruisprudenza in materia aderendo al filone interpretativo che ritiene necessaria la forma scritta ad essentiam limitando peraltro la rilevabilità della nullità in favore del solo conduttore nella specifica ipotesi di cui all'art. 13 comma 5 della Legge 431/98 che gli accorda una speciale tutela solo ove il rapporto verbale gli sia stato importo dal locatore. Quindi la Corte individua due situazioni: quella di un imposizione al conduttore che richiede un riequilibrio delle posizioni e motiva una nullità relativa, con accertamento della circostanza da parte di un giudice e richiesta da parte del conduttore di ripristino di condizioni di canone concordato, e quella situazione in cui vi sia stato un reciproco consenso. In questo ultimo caso il locatore potrà agire in giudizio per la liberazione dell'immobile occupato senza titolo, ed il conduttore potrà ottenere la restituzione delle somme versate in misura eccedente il canone concordato. Nel caso di un contratto regolarmente registrato cui si unisca una scrittura di diverso tenore, circa l'importo del canone, la Corte n° 18213/2015 sempre a Sezioni Unite, conclude, anche qui in controtendenza rispetto al passato, per una "nullità della controdichiarazione" in aumento del canone, che sostanzia una soluzione vietata dalla legge. Il conduttore potrà ottenere tutte le somme versate, a nulla valendo un eventuale registrazione fiscale della controdichiarazione.
Il legislatore ha recentemente normato la figura del "rent to buy", (Dl 133/2014 convertito in L. 164/2014). Con tale contratto il proprietario di un bene immobile lo concede in godimento ad un soggetto con patto che i canoni via via versati siano imputati anche quale prezzo di acquisto rateizzato. Al momento dell'integrale pagamento del prezzo, solitamente con una rata finale di più alto importo, la proprietà del bene passerà al soggetto che ne ha avuto sino a quel momento il godimento. In una recente nota (studio civilistico 283-2015/C del 28 maggio 2015) del Notariato il Consiglio Nazionale del Notariato si esamina una delle patologie di questo tipo di contratto e cioè quella dell'inadempimento del conduttore, per la cui ipotesi il legislatore ha previsto che "il concedente ha diritto alla restituzione dell'immobile ed acquisisce interamente i canoni a titolo di indennità, se non è stato diversamente convenuto nel contratto" e che "il contratto si risolve in caso di mancato pagamento, anche non consecutivo, di un numero minimo di canoni, determinato dalle parti, non inferiore al ventesimo del loro numero complessivo". Sostiene il Notariato che in ipotesi di inadempimento del conduttore se il contratto rent to buy ha la forma dell'atto pubblico e contiene una clausola risolutiva espressa, nel nostro sistema processuale esiste la possibilità per l'avente diritto di agire legittimamente in via esecutiva per il rilascio dell'immobile sulla base di un titolo esecutivo stragiudiziale. Quindi, senza passare per un preventivo accertamento giurisdizionale del diritto. Da ciò l'importanza che il contratto, sotto il profilo della effettività della tutela giurisdizionale, sia stipulato nella forma dell'atto pubblico, non essendo sufficiente la forma della scrittura privata autenticata, se si vuole ricomprendere anche l'obbligo di rilascio.
Con una recentissima le Sezioni Unite della Cassazione sciolgono un rilevante problema giuridico legato all'ammissibilità nel nostro ordinamento della figura del "preliminare di preliminare, quel contratto con cui due parti contraenti si obbligano alla stipula di un successivo preliminare. Le Sezioni U. sciolgono positivamente il nodo dell'ammissibilità della figura anche contrastando precedenti pronunce dello stesso organo supremo. Di prassi assai frequente, il contratto si articola in 3 fasi: 1) l'invio di una proposta e della sua conseguente accettazione, e che comporta la conclusione di un primo contratto, che di solito si qualifica come preliminare, 2) stipula di un vero e proprio contratto preliminare, dopo che tra le parti è avvenuto lo scambio di proposta ed accettazione, con clausole più pregnanti e precise e sottoscrizione contestuale e reciproca, 3) la stipula del definitivo. Il primo passaggio è quello che nelle usanze comunemente tipiche della vendita di un immobile sono volte a fermare l'affare senza curarsi degli aspetti maggiormente di dettaglio che saranno curati successivamente. Essendo spesso la prima fase compiuta per tramite intermediario, si usa dire che la proposta sia fatta ed accettata a distanza senza un contatto tra le parti, cosa che nel secondo passaggio avverà di certo. Addirittura la Sentenza Cass. 8039/2008 affermava che quando "la proposta irrevocabile di acquisto seguita dall'accettazione del venditore preveda che le parti debbano poi concludere un contratto preliminare, prima della conclusione di tale atto, hanno dato vita ad un contratto qualificabile come preliminare di preliminare, del quale deve essere dichiarata la nullità non essendo ravvisabile una causa meritevole di tutela". Nullità che discendeva da una ritenuta inutilità del detto preliminare di preliminare. Ora invece si definisce meritevole di tutela e "produttivo di effetti l'accordo denominato come preliminare con il quale i contraenti si obblighino alla successiva stipula di un altro contratto preliminare, soltanto qualora emerga la configurabilità dell'interesse delle parti ad una formazione progressiva del contratto basata sulla differenziazione dei contenuti negoziali e sia identificabile la più ristretta area del regolamento di interessi coperta dal vincolo negoziale originato dal primo preliminare"
Un'interessante pronuncia della Commisione Tributaria di Caltanissetta la Sent. 1039/03/14 depositata il 16 dicembre permette di affrontare il caso per cui se il comproprietario affitta un immobile e non indica nel contratto di locazione il nome dell'altro comproprietario, situazione peraltro consentita dalle norme civilistiche, è corretto imputare al solo disponente l'immobile, e di cui in contratto, l'intero reddito che ne consegue. Il caso prendeva le mosse da una locazione in cui uno dei coniugi non era stato indicato all'interno della scrittura contrattuale ed alla relativa imputazione dell'Agenzia delle Entrate dell'intero introito della locazione all'unico comproprietario. La Corte di Cassazione (sentenza 15433/2011) mantiene un pacifico orientamento che preme qui ricordare se secondo cui il rapporto che deriva dal contratto di locazione e che si instaura tra il locatore ed il conduttore ha natura persona, tale per cui chiunque abbia la disponibilità di fatto di un bene può validamente decidere di concederlo o meno in locazione. Nel caso in esame, quindi, secondo la Ctp di Caltanissetta, nessun dubbio sulla validità del contratto pur in mancanza della contestuale sottoscrizione da parte del coniuge - comproprietario) e che, ai fini fiscali, altrattanto correttamente doveva essere considerata l'imputazione del relativo reddito prodotto esclusivamente in capo al solo coniuge locatore (ovvero colui che era stato l'effettivo percettore dei canoni).
Il Tribunale di Milano si esprime con una sentenza, la n° 12507 del 23 ottobre 2014, sull'obbligo del nuovo conduttore a pagare i canoni dovuti dal suo predecessore, negandone la sussistenza (per i motivi che argomenta e così riassunti), giungendo a conclusioni diverse (non illogicamente) da quelle della Corte di Cassazione n° 10485/2004. Il conduttore può decidere di alienare l'azienda ed insieme il canone di locazione in essere senza consenso del locatore ma, questo può decidere di non liberarlo dal pagamento e, nel caso il nuovo conduttore sia moroso è il predecessore a essere solidalmente responsabile ex art. 36 comma 1 della legge n° 392 del 1978. Nel caso inverso la legge de quo nulla dice. Ed è il caso in cui sia il cedente ad essere moroso nel pagamento dei canoni maturati prima della cessione. In un simile caso, la Corte afferma, nella poc'anzi citata sentenza, che il cessionario deva rispondere verso il proprietario dei canoni non pagati salva, poi, un azione di rivalsa. Il Tribunale di Milano non riconosce questo diritto ad un locatore che si era attivato per chiedere il pagamento dei canoni non pagati dal precedente conduttore a quello nuovo. Il silenzio della legge sul punto riguarda infatti anche l'art. 1406 CC, in cui, se è consentito ad ogni parte di sostituire a se un terzo nei rapporti derivanti da un contratto a prestazioni corrispettive, sempre che le dette non siano ancora state eseguite, nulla può dirci circa una situazione come quella esaminata, in cui il godimento del bene è già avvenuto da parte del conduttore che ha ceduto l'attività. Il Tribunale di Milano non si discosta dal principio del rispetto dalla diversa volontà delle parti essendo pattuito, nel caso in esame, che il cedente assumesse l'obbligo di manleva nei confronti del cessionario. Il subentro del cessionario nel rapporto di locazione è infatti una facoltà concessa al cedente e non un effetto automatico del contratto di cessione aziendale (Cass. Sentenza 23087/2013 del 30 ottobre 2014), quindi sì ad accordi tra le parti per disciplinare i rapporti pregressi.
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