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PROPRIETA' E LOCAZIONI:NOVITA'

LOCAZIONI; TASSE SU CANONI NON PAGATI

PRECISAZIONI IN TEMA DI MANCATA PERCEZIONI DEI CANONI DI LOCAZIONE DA PARTE DEL CONDUTTORE

SPECIALE: LA RIFORMA DEL CONDOMINIO CAMBIA LE REGOLE CONTRO I MOROSI


la riforma del condominio, recentemente approvata in via definitiva dalle camere ed in attesa della sua entrata in vigora a maggio 2012, va ad incidere sugli strumenti da utilizzare contro i condomini morosi 

- DIVISIONE DI UN CONDOMINIO -

Presentiamo un breve studio esplicativo su di un quesito postoci

Parere legale;

 

  "La divisibilità dell'unico complesso condominiale"


Il  parere giuridico sulla possibilità di dividere un edificio in condominio in due parti, da destinare a due distinte amministrazioni.
Lo scrivente legale rileva come tale possibilità sia espressamente prevista da norme del Codice Civile, precisamente gli artt. 61 e 62 delle Disposizioni di Attuazione. Le due norme operano in base al generale rispetto del principio di cui all'art. 1119 e 1117 del Codice Civile, dovendo le parti comuni dell'edificio conservare la loro naturale destinazione condominiale e non essere soggette a divisione, a meno che la divisione possa farsi senza rendere più incomodo l'uso della cosa a ciascun condomino. L’indivisibilità di parti comuni di un condominio è quindi una regola generale ma, non assolutamente inderogabile.
    Infatti, l'art. 61 delle disp. att. recita che; "qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato". La norma consente di affermare, quindi, che la complessiva ed originaria entità immobiliare (costituita e rappresentata, come nel caso, da un'amministrazione di condominio) può essere divisa (anche estinguendone il condominio) per originare, se del caso, due distinti edifici amministrati separatamente. Si tratta di una procedura attivabile con modalità assembleare o giudiziale, che consente di rendere indipendenti ed autonome le parti d'insieme di un edificio o di un gruppo di edifici. Precisa ancora l'art. 61 disp. att., II comma come; "Lo scioglimento è deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell'art. 1136 del codice, o é disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione”. In tal disposto è disciplinata anche l'ipotesi in cui almeno un terzo dei condomini “autonomisti” (si fa riferimento soltanto ad una percentuale numerica e non che essi devano rappresentare anche un terzo del valore immobiliare da separare) voglia rivolgersi, con atto di citazione da notificare a tutti i condomini, al Tribunale del luogo in cui è ubicato l’immobile, al fine di ottenere lo scioglimento del condominio. Quelli trai condomini che non hanno sottoscritto la richiesta, ovviamente, hanno la possibilità di opporsi dimostrando che la divisione del condominio non può essere realizzata senza modificare lo stato delle cose oppure che la parte del complesso che chiede la separazione non ha caratteristiche d’edificio autonomo. A parere dello scrivente, e di consolidata dottrina, l’azione giudiziaria di separazione, a differenza della corrispondente azione promossa invece nella sede assembleare dell’amministratore, non è subordinata al previo tentativo assembleare. Tale circostanza si desume dall’utilizzo della congiunzione “o” nel secondo comma dell’art. 61 disp. att. che rende per l’appunto l’opzione giudiziaria alternativa in via principale e non solamente subordinata. Tuttavia, anche nel caso di procedimento giudiziale, e per le ragioni che saranno sotto precisate, non è esclusa la possibilità di un passaggio assembleare.
    La disciplina della divisione di edifici in più condomini si completa con la previsione di cui all'art. 62 disp. att. c.c., norma che regola alcuni aspetti inerenti l’effetto dello scioglimento del condominio. “ La disposizione del primo comma dell'articolo precedente (il 61 n.d.r.) si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'art. 1117 del codice. Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell'art. 1136 del codice stesso”. Si precisa nel primo comma di questo articolo della possibilità che, a seguito dell'individuazione dei due (o più) distinti "corpi" da rendere autonomi, alcune delle parti comuni a servizio della originaria "società" condominiale, divengano dopo la divisione ad uso comune delle due (o più) nuove realtà condominiali (e quindi, nel caso proposto, a servizio di due "blocchi" A e B, composti ciascuno di una (nuova) singola unità immobiliare (di più appartamenti) ed anche di parti comuni, queste ultime, nella loro totalità o meno, poste a servire indistintamente i blocchi A e B). La norma è quindi la specificazione di una delle possibilità tra quelle ipotizzabili nell'interpretare la norma generale dell'art. 1119 CC la quale, ammette la divisibilità delle parti comuni alla condizione che sia conservato in favore di ciascun condomino (che qui potremmo invece chiamare condominio) l'uso comodo delle dette parti. Queste parti possono essere mantenute dagli edifici separati sia in comproprietà sia divise, (ricorrendo, per esempio, all'aiuto di un  notaio e costituendo, in tal caso, delle servitù tra gli edifici medesimi). L’uso delle predette parti comuni dovrà essere regolato da un accordo privato da inserire nei regolamenti condominiali dei singoli edifici col quale deve essere anche stabilita la compartecipazione alle relative spese. Tale possibilità è importante ai fini di prevenire questioni sulla incerta ripartizione delle spese da parte dei distinti gruppi di proprietari costituitisi o meno in nuovi condomini e, quindi, per le responsabilità che su tali beni le norme civilistiche fanno derivare in capo al custode. Per queste parti comuni vi è infatti un espresso richiamo, da parte della Corte di Cassazione, alle regole civilistiche del condominio, non di quelle sulla comunione in generale. Di più, autorevole commentatore sottolinea come il termine "partecipanti", usato nella disposizione dell'art. 62 disp.att., venga sì adoperato anche per indicare i titolari di beni in comunione, ma la qualificazione "originari" toglie ogni dubbio sul contenuto della espressione, risultando da essa evidente che la norma fa riferimento ai partecipanti al condominio negli edifici e non ai partecipanti alla comunione. Il secondo comma dell'art. 62 delle disp. di att. specifica che se per addivenire alla separazione fosse necessaria l’esecuzione di opere innovative, la deliberazione dovrà essere adottata “con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio” (art. 1136, quinto comma, c.c.). Dalla competenza riconosciuta all'assemblea di deliberare lo scioglimento "qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose ed occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini" può desumersi la competenza dell'organo collegiale a decidere l'esecuzione dei lavori necessari a determinare l'autonomia fisica che non esiste: la competenza, cioè, di deliberare l'esecuzione delle opere indispensabili per creare ex novo l'indipendenza materiale del caseggiato.
Castiglioncello, 11/12/2013
Avv. Manfredi Potenti

 



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